Per non dimenticare Amatrice e L'Aquila - parte 3
Mia zia non ha voluto seguirmi, è rimasta in città. “Sta
andando meglio, non dobbiamo ricadere” ma questa volta, non ho ascoltato le sue
parole. Sono partita, mi sono fatta tre ore di treno ed eccomi qua, nella mia
vecchia vita, o, di quello che resta. La mia vicina di casa dell’epoca si è
offerta di ospitarmi per questi giorni di permanenza così, ormai fradicia,
raggiungo la sua casa.
Quando entro, Teresa mi viene incontro con un asciugamano
e mi copre, mi porta davanti al fuoco. Mi prepara anche una tazza di the, che
accetto molto volentieri, cercandomi di scaldare. Dopo averla finita, Teresa
viene da me, dice che deve dirmi una cosa importante.
«Abbiamo una sorpresa per
te, tesoro» quell’ultimo aggettivo mi scalda il cuore. «Ti piacerà»
Quando mi volto, Teresa
tiene in braccio un gatto nero. Mi aspettavo di tutto, ma non questo. È
accovacciato contro di lei e fa le fusa. «Nerina?» spalanco gli occhi e mi
avvicino, titubante.
«E’ proprio lei» la prendo
in braccio e la stringo forte a me. Sento delle lacrime solitarie uscire dai
miei occhi ma non mi importa. Il suo pelo così morbido, il rumore delle sue
fusa, mi fanno tornare a casa. La tengo stretta a me e cerco di asciugare le
mie lacrime sul suo pelo ma non ce la faccio, sono troppe. Piango come una
bambina, singhiozzando sul proprio animale, ma non m’importa.
«Pensavo fosse morta anche
lei» è un lamento strozzato che mi esce dalla gola, senza preavviso. E’ la voce
tremante di quella bambina di undici anni che ho lasciato sotto le macerie.
«L’abbiamo
ritrovata qualche giorno dopo ma te ne eri già andata. Ho chiamato tua zia ma
ha detto che era meglio se restava qui»
«E’
stata trattata bene, sapevamo che saresti tornata» Teresa si avvicina e mi abbraccia forte. Cerco di ricambiare, come
posso, non volendo lasciare Nerina neanche un instante.
Passo tutta la sera ad accarezzarla, a farle i grattini
dove le piace di più. Non ha un occhio, o meglio, ce l’ha ma non ci vede. Aveva
anche una zampa rotta, per questo ora zoppica. E ha messo su anche qualche
chilo in più, ma non m’importa, lei è la mia famiglia.
Quando è l’ora di andare a letto, Teresa mi assicura che
sto al sicuro, la casa è nuova e antisismica. “Oscilla ma non può crollare” mi
sorride come se fossi sua nipote, scappata anche lei da questo paese.
Dalla finestra della stanza degli ospiti ho una visuale
della piazza principale. Riesco a vedere la panchina su cui stavo seduta e ho
una fitta al cuore. Proprio all’ingresso di quella nuova casa, dove una volta
c’erano dei portici, ho dato il mio primo bacio ad un angelo salito al cielo
anni fa. La notte non dormo, sono immobilizzata nel sonno con la paura che mi
attaglia il cuore che il soffitto possa crollare di nuovo sopra di me.
Silvia
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